16 luglio, 2013

Minacce al ministro Kyenge,

Wenn ich Angst hätte, müssten alle Angst haben

di Constanze Reuscher
Pubblicato in Germania il 21 giugno 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli



“L’Italia non è il Paese del razzismo”, ribadisce Cécile Kyenge instancabile. A tal proposito ha fatto scalpore la minaccia di morte, “Uccidetela!”, apparsa qualche giorno fa su un social network. L’oculista di Castelfranco, cittadina dell’Emilia-Romagna, ricopre da due mesi l’incarico di ministro per l’integrazione del governo guidato da Enrico Letta. Eppure in Italia c’è addirittura a chi dà fastidio questo: la pelle di Cécile Kyenge è scura, il ministro inoltre è nato 48 anni fa nella Repubblica Democratica del Congo, non nella sua nuova patria italiana. “Torna in Congo”, così hanno scritto sui muri i sostenitori di Forza Nuova, partito di estrema destra. Una leghista di Padova ha chiesto su Internet: “Perché nessuno la stupra?”

“Rispondo con il linguaggio della pace”

La Kyenge arriva a piedi all’incontro passando per il centro storico di Roma, questo sembra rendere nervosi solamente i suoi collaboratori. “Non ho paura, questa è la mia forza!” Al linguaggio della violenza rispondo con il mio linguaggio della pace”, dice come incurante dalla tempesta che si è scatenata attorno a lei. “Se io avessi paura, allora dovrebbero avere tutti paura”. Si sbarazza anche della domanda sulla presenza di molte guardie del corpo con lei: “E’ una regola generale, è previsto per ogni ministro”. La Kyenge è la prima politica italiana che si definisce “Ministra”; “è una decisione personale, non è da tutti in Italia”, dice. Tuttavia dietro la sua bassa statura e quel sorriso da ragazzina, quasi timido, si nasconde una Lady di ferro quando si parla dei suoi obiettivi politici. La riforma della cittadinanza italiana è quello che le sta più a cuore. La Kyenge vuole introdurre lo Ius Soli, quel principio secondo il quale ogni cittadino nato sul suolo italiano ha diritto alla cittadinanza.

La gran parte degli immigrati viene dalla Romania

“E’ importante soprattutto per i giovani. La scuola è il luogo di prima integrazione, eppure spesso i figli di immigrati sono esclusi dalle gite di classe perché la burocrazia è lenta”, spiega. La ministra si auspica una nuova cultura dell’integrazione: un nuovo concetto di cittadinanza tale per cui tutti, italiani e immigrati “riconoscano e rispettino i propri diritti e doveri. Dove le differenze non siano un problema, ma una ricchezza”. Questa è la situazione: in Italia oggi, dei 60 milioni di abitanti, 4,5 milioni sono stranieri con regolare permesso di soggiorno. I principali gruppi di immigrati sono rumeni, albanesi e marocchini. Dei 750.000 studenti figli di immigrati, la metà è nata sul suolo italiano. Eppure, società multiculturale oppure Ius Soli sembrano obiettivi lontani quasi irraggiungibili in un Paese dal quale ancora si emigrava fino a qualche anno fa.

Berlusconi definì Obama “Giovane, bello e abbronzato”

Un Paese dove l’immigrazione di massa e il fenomeno dei lavoratori stranieri sono presenti da appena vent’anni e dove l’integrazione è ancora un concetto incerto. Dove in una conferenza stampa pubblica di livello internazionale, l’ex capo del governo Silvio Berlusconi ancora pochi anni fa definiva il neoeletto Presidente degli Stati Uniti Barack Obama “bello giovane e abbronzato”. Amnesty International ha definito “preoccupante” la legge sull’immigrazione, che prevedeva l’espulsione e non integrazione e assistenza, imposta nel 2002 dal nazionalconservatore Gianfranco Fini e dal leader della Lega Nord Umberto Bossi, all’epoca entrambi ministri del governo Berlusconi. Il presidente del Parlamento Europeo Martin Schultz definì il governo Berlusconi “razzista”. L’organizzazione per i diritti umani Human Right Watch ammonì il dibattito politico italiani definendolo “polemico e ostile agli stranieri”. L’odio nei confronti degli stranieri è stato esportato dai tifosi della Lazio, quando nel 2007 l’attaccante del Werder Brema Boubacar Sanogo è stato insultato a suon di grida di scimmia nello WeserStadion. Il razzismo nel calcio italiano trova terreno terribilmente fertile.

Gli spettatori insultano i calciatori di colore.

Nel 2005 il capitano della Lazio Paolo di Canio aveva ringraziato i suoi fans dopo la vittoria del derby contro la Roma con il “saluto romano”, una sorta di saluto di Hitler, mandando in delirio i tifosi. Il calciatore della nazionale Mario Balotelli, ma recentemente anche il giocatore del Milan Kevin-Prince Boateng, subiscono regolarmente cori razzisti. Non senza reazioni da parte di Boateng che è arrivato ad abbandonare il terreno di gioco per protesta durante una partita. In questi giorni un gruppo di africani sono rimasti intrappolati, durante la traversata del Mediterraneo, aggrappati ad una rete da pesca; almeno sette persone sono morte. Anche il soccorso in mare previsto dalla Legge Bossi-Fini non viene più garantito.

Gli africani vengono trattati come schiavi.

Per il centro di accoglienza di Lampedusa, tra Sicilia e Tunisia risulta difficile lasciar cadere nel vuoto il grido di un campo profughi. Nell’agricoltura del Sud Italia, soprattutto per la raccolta estiva dei pomodori, i lavoratori africani vengono trattati come schiavi. Sinti e Rom in Italia sono odiati come in nessun’altro Paese europeo. Il Premier Enrico Letta ha trasformato il Ministero per l’Integrazione, compreso in precedenza nel Ministero per la cooperazione internazionale, in un ministero con una propria responsabilità e sfera di competenza. La Kyenge, impegnata politicamente nell’ambito dell’integrazione in Emilia-Romagna con il Partito Democratico, è diventata così ministra. Prontamente l’europarlamentare della Lega, Matteo Salvini, ha dichiarato: “Solo in Italia può esserci un ministro entrato illegalmente nel Paese”. In realtà il mancato permesso di soggiorno della ministra appena giunta in Italia era un errore della burocrazia italiana. La Kyenge è arrivata dal Congo come studentessa; è cresciuta nella provincia del Katanga con il padre capotribù e 38 fratelli e sorelle.

Kyenge porge la mano ai suoi avversari

Grazie ad una borsa di studio ha potuto trasferirsi a Roma; lì tuttavia non si riuscivano a trovare i documenti necessari – la Kyenge era quindi “clandestina”. Accolta in una missione cattolica in Emilia-Romagna, se l’è cavata come badante, ha sostenuto tutti gli esami ed è diventata medico. Si è sposata, è diventata italiana e ha due figli. Nonostante le critiche e le polemiche la Kyenge vuole porgere la mano ai suoi avversari politici. Il nuovo governo, una grande coalizione, sente il ruolo della neo-ministra come una “chance per superare le differenze, come in un Suq”. Un primo obiettivo lo ha raggiunto. Il leader della Lega Nord, Roberto Maroni, ha dichiarato: “Nel dibattito sulla cittadinanza Ius soli non possono esserci tabù!” Forse perché la ministra ha una ricetta semplice per il superamento delle discriminazioni: “Si trova nella nostra Costituzione. Dobbiamo solo metterla in pratica”.

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