28 maggio, 2012

Italiani rassegnati

Trostlos in Italien

di Riccardo Mastrocola



La crisi dell’euro ha scosso il paese, nonostante ciò insiste nei vecchi modelli – Un reportage dalla città di Piedimonte

Riccardo Mastrocola
La crisi che da mesi affligge l’Italia è uno dei grandi temi della politica europea. L’emittente giornalistica Hr-info dà il via oggi ad una serie di trasmissioni dal paese, in cui si dà voce alle vittime di questa crisi. L’inviato di hr-info, Riccardo Mastrocola, ci racconta i suoi incontri a Piedimonte San Germano. In questo articolo descrive le sue impressioni, che sono tutt’altro che positive.
Sulla piazza giocano dei bambini, al bar gli anziani si dividono una bottiglia di Peroni giocando a carte. In questo periodo di maggio ovunque si sente il profumo degli aranci in fiore. I 6000 abitanti di Piedimonte San Germano, vivono circondati da alte catene montuose, per arrivare alla spiaggia più vicina ci vuole mezz’ora di macchina. Roma si trova a nord, a ben 100 chilometri di distanza. Piedimonte è situato nel primissimo meridione con tutti i tipici stereotipi legati ad esso. Qualcuno pensa all’ospitalità, alla vivacità e alla Dolce Vita, altri invece alla disoccupazione, all’arretratezza e alla criminalità. Piedimonte comunque non è certamente un paese da cartolina, ha ben poco di poco attraente. Ma lo amo perché vi ho ​​trascorso la mia infanzia.

Grafico che illustra l'andamento del PIL in Italia, Spagna e Francia dal 1995 al 2012

Alla ricerca di riforme
Vengo qui di norma un paio di volte l’anno, da turista. Questa volta ho cercato di vedere il paese con occhi diversi, di cercare cambiamenti, segnali di nervosismo, tracce della riforma politica del Primo Ministro Mario Monti. Ma una settimana dopo, quando sono atterrato a Francoforte, ho avvertito come una sensazione di vuoto allo stomaco. So che alcune storie che devo raccontare sono tristi. E so anche che sarà difficile per Monti cambiare questo paese. I problemi sono molto più profondi (di quel che sembra ndt).
Silvia ha circa 35 anni, ha un figlia di quattordici anni e non ha marito. Lavora in un tipico bar italiano, nove ore al giorno, sei giorni a settimana. Guadagna circa 700 € al mese. La cosa assurda è che lei è felice così. Perché prima stava peggio: per un lavoro in una fabbrica di abbigliamento il contratto prevedeva circa 1100€ netti: “Mi hanno pagato solo 500€, nemmeno la metà di quello che era previsto dal contratto”.
Questo è l’andazzo. Chi non si adegua non stia nemmeno a guardare al mercato del lavoro. Da più parti mi arrivano conferme in questo senso, anche da Antonio Massaro, direttore dell’ufficio del lavoro nella vicina città di Cassino, “E’ una fregatura! Qui è così e più a sud è ancora peggio, si tratta di un espediente illegale con cui vengono spillati soldi dalle tasche dei dipendenti che vengono raggirati e anche lo Stato “.

Una truffa da miliardi
Mettiamola così: quello che l’imprenditore deve versare allo Stato, se lo riprende dal dipendente, oppure paga in nero. Certo molti piccoli imprenditori in Italia si trovano in difficoltà, ma questo tipo di frode allo stato costa miliardi. L’Italia perde complessivamente 120 miliardi di euro all’anno di tasse. Quattro volte quello che paghiamo noi tedeschi al fisco. Ecco perché il Premier Monti aumenta le tasse. E la pressione fiscale aumenta sempre più.
Secondo il capo dell’ufficio del lavoro Antonio Massaro questo inoltre inasprisce sia gli animi che la crisi. E continua a parlare con franchezza. Gli chiedo quanti posti di lavoro sono stati assegnati nella regione. Sorride, allarga le braccia e dice: “Nemmeno uno. Non abbiamo combinato nulla, il mercato del lavoro è morto..” Quello ufficiale, per lo meno.
E poi racconta di imprenditori che si lamentano che i propri dipendenti sono persone raccomandate da funzionari politici, che spesso nelle aziende va avanti solo chi ha le conoscenze giuste, che il lavoro in sé stesso è una questione secondaria. Lì domina il famoso nepotismo, a causa del quale la qualità e la competenza professionale diventano aspetti marginali.


Piedimonte San Germano
Alla ricerca di un controesempio positivo mi imbatto in Gianfranco di Piedimonte, giusto impegnato in un lavoretto in nero, per così dire. Sta costruendo una recinzione nel giardino di un collega della Fiat. Gianfranco è un operaio della Fiat. La casa automobilistica è anche il più grande datore di lavoro nella regione. Chiunque abbia un contratto può ritenersi fortunato, pensavo.
Gianfranco ha una moglie e un bambino piccolo “Non posso pensare ad un secondo figlio, nessuno dei miei colleghi ha più di un bambino, costa troppo”. Un giovane operaio della Fiat guadagna 1.200 € netti al mese, certo, pagati regolarmente, ma purtroppo non bastano. E a causa della crisi si lavora part-time e quindi si guadagna decisamente di meno. Al momento solo 700 o 800 euro mensili. Gianfranco si lamenta: “Come si può guardare al futuro ed essere felici?” L’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne vuole produrre auto in tempi più brevi spendendo sempre meno, ha rifiutato il contratto collettivo nazionale minacciando di andare via dall’Italia: “In ogni caso abbiamo poco, e lui continua a sfruttarci”, dice Gianfranco mentre continua ad avvitare la recinzione al muro. Ha bisogno di arrotondare, nonostante il lavoro sicuro a tempo pieno alla catena di montaggio della Fiat.

Voglio prendere una boccata d’aria a Piedimonte Alta, un quartiere sulla collina. Accanto a me, il mio vecchio amico d’infanzia Carlo. Guardiamo insieme la vasta pianura fertile. Una bella valle. Questa è una cartolina, penso. Ma Carlo, di professione avvocato non mi concede pausa, punta il dito a sud e dice: “Laggiù c’è la camorra”. Là, a soltanto 20 chilometri oltre il confine della regione Campania, si spara. Qui tutto è calmo, “ma è una zona in cui la malavita fa affari”.
Si tratta di riciclaggio di denaro. Di investimenti nelle piccole imprese, in negozi di arredamento o abbigliamento, concessionarie d’auto o grandi progetti edilizi. E poi Carlo mi stupisce quando dice: “la camorra ha investito qui legalmente, lava il denaro sporco, ma porta la prosperità, tanto comunque il denaro andrebbe comunque da qualche parte …” Sono senza parole.
“Non ti importa da dove possa provenire il denaro?” Chiedo. “No,” dice Carlo, “da un punto di vista morale, certo che no.” Il problema sembra quindi essere da dove arrivano di soldi, non dove e come vengono investiti.

Ingresso dello stabilimento Fiat a Cassino

Mi chiedo come posso fare a spiegarlo ai tedeschi. Non va bene così, amico mio! Ma Carlo resta calmo: “Quello che è importante per la nostra regione è la tranquillità e poca criminalità, ed è quello che abbiamo qui” Così la vede Carlo. La pensano in molti così? Sì, qui molti la pensano così, dice Igor Fonte, un consigliere comunale dalla vicina città di Cassino. “La camorra ha bisogno esattamente di questa calma, di questa tolleranza per moltiplicare le proprie entrate e quindi far girare l’economia, non solo qui da noi, questo è un problema di tutta l’Italia”, dice il 29enne “Ci stiamo abbruttendo. Quel denaro è guadagnato con il sangue e la morte, proviene dal traffico di droga e da persone assassinate. “La camorra è, assieme alle altre tre grandi organizzazioni criminali, l’azienda più redditizia in Italia. Migliaia di posti di lavoro legali dipendono da loro.

Piedimonte San Germano è e resta un paesino – e le mie ricerche sono solo una minima parte di una realtà più grande. Eppure sento che metà del paese sta ingannando se stessa. Un’amica emigrata 20 anni fa nel nord Italia per fuggire da tutto questo, mi disse: “amico, Piedimonte potrebbe essere così bella.” E anche l’Italia.

23 maggio, 2012

Mafia: la pista tedesca dimenticata


Mafia: Die vergessene deutsche Spur
di Petra Reski
Pubblicato in Germania il 17.05.2012

Traduzione di Cristina Bianchi per Italia Dall'Estero

17/05/2012 · Vent’anni fa furono assassinati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Entrambi indagavano anche in Germania, dove la mafia era già forte allora.


Quel giorno di maggio. Ogni italiano ricorda ancora oggi il momento in cui apprese dell'attentato a Giovanni Falcone, sua moglie e tre agenti della scorta. Ciascuno ricorda bene se quel 23 maggio 1992 si trovava al mare o a casa, se era solo o con gli amici, se ha sentito per radio un giornalista dalla voce incerta, l'urlo delle sirene e il rumore delle pale degli elicotteri o se ha visto scorrere sullo schermo televisivo le sfarfallanti immagini dal cratere sull'autostrada di Capaci, la terra argillosa divelta, le carcasse delle auto, i poliziotti e i paramedici. E il 19 luglio 1992, due mesi dopo Giovanni Falcone, veniva fatto saltare in aria davanti a casa di sua madre a Palermo il suo amico e collega Paolo Borsellino, insieme a cinque agenti di scorta.

Immagini dell'attentato in via D'Amelio
 In questi giorni l'Italia ricorda per la ventesima volta i suoi eroi morti con discorsi e cerimonie a cui molti magistrati antimafia da tempo rifiutano di partecipare, perché testimoni della solitudine in cui Falcone e Borsellino si ritrovarono prima della loro morte. Roberto Scarpinato è uno di quei giovani magistrati di allora per i quali quel ricordo è rimasto un segno indelebile ancora doloroso. Sostiene che Falcone e Borsellino furono isolati, diffamati e preparati, lentamente, alla propria morte.

Immagini dell'attentato a Capaci
Per lui è intollerabile che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vengano indicati come simbolo di uno Stato che ha sferrato un colpo mortale alla mafia con il maxiprocesso; che essendo stati identificati e condannati gli assassini – icone sempliciotte della mafia che parlavano tutte dialetto siciliano, come Totò Riina e Bernardo Provenzano - la mafia perciò non vada considerata altro che un fungo malefico, da trovare e isolare. Una sparuta minoranza in una maggioranza di onesti, un tumore in un organismo sano che può essere eliminato. La mafia, dice Scarpinato, sono sempre gli altri. Semianalfabeti che si occupano di stupefacenti e di riscuotere il pizzo e non tutti quei membri rispettati della società che sono stati condannati per favoreggiamento alla mafia: Giulio Andreotti, eletto per ben sette volte presidente del consiglio, l'ex-governatore della regione Sicilia Salvatore Cuffaro, l'ex-capo dei servizi segreti Bruno Contrada o Marcello Dell'Utri, senatore e amico fidato di Berlusconi.

Affiliati e pentiti
Un big bang
Scarpinato fu testimone di quel periodo, quando Falcone e Borsellino istruirono il maxiprocesso contro tutte le resistenze dello Stato italiano, finché infine non si giunse a quel big bang col quale vennero incriminati 474 mafiosi, che per la prima volta non riuscirono, come d’abitudine, ad "aggiustare" il processo e quindi a far sospendere le sentenze nell'ultimo grado di giudizio. Un big bang che nel 1986 permise all’Italia di rivalutare la propria reputazione agli occhi del mondo. Non era più soltanto la terra della mafia, ma anche quella dell'antimafia.

Oggi Scarpinato è Procuratore Generale a Caltanissetta, dove il processo contro gli attentatori di Paolo Borsellino è ripartito da zero perché falsi testimoni chiave hanno reso nulle le sentenze del primo processo. A Palermo il Sostituto Procuratore Antonio Ingroia, ex-allievo di Paolo Borsellino, sta indagando sui retroscena politici degli attentati e quindi sui negoziati - denominati "trattativa" - tra mafia ed esponenti della politica italiana, durante e dopo gli omicidi dei due magistrati.

Antonio Ingroia
Paolo Borsellino, poco prima della sua morte, aveva appreso di questi negoziati e vi si era opposto, questo gli costò la vita. L'agenda rossa sulla quale Borsellino annotava i suoi appunti e appuntamenti ha un ruolo chiave nella vicenda. Si trovava nella sua ventiquattrore che, come testimoniato da una foto, fu sottratta da un agente dai rottami ancora fumanti delle auto. Da quel giorno l’agenda rossa è scomparsa divenendo metafora delle connessioni tra mafia e politica. "Agende Rosse" è anche il nome del movimento antimafia fondato dal fratello di Borsellino, Salvatore; in occasione della marcia commemorativa, che ha luogo ogni anno, le agende rosse vengono alzate silenziosamente al cielo.

Il popolo delle Agende Rosse

Killer di Dormagen e Leverkusen

"Solo chi capisce il passato può interpretare il presente", dice il magistrato palermitano Antonino Di Matteo. Questo vale anche per la Germania. Già nel 1990 Falcone voleva sapere come e perché Cosa Nostra era riuscita a mettere radici anche in Germania. Quando arrivò a Düsseldorf, con il suo omologo napoletano Franco Roberti, per indagare su un traffico di armi ed esplosivi tra l'Italia e Solingen, si imbatterono - fa notare Roberti - in un muro di algida cortesia e di totale incomunicabilità: "La vera preoccupazione della polizia tedesca non sembravano essere gli insediamenti mafiosi in Germania, che avevamo dimostrato nel corso delle nostre inchieste al di là di ogni dubbio, quanto piuttosto la nostra presenza. Per timore di un attentato avrebbero voluto chiuderci per tutta la durata del soggiorno in una caserma dell'esercito federale."

Attentato mafioso in Germania
Falcone e Borsellino, fino al momento della loro morte, indagarono sull'omicidio del giovane magistrato Rosario Livatino, ucciso nel 1990 da un commando di sei sicari. Livatino aveva scoperto un traffico di armi tra Sicilia e Germania e continuava a ripetere che era in Germania che si doveva andare, per comprendere la "nuova mafia". Stava indagando sulla roccaforte del clan mafioso di Palma di Montechiaro, appartenente alla potente mafia dell'agrigentino, insediato ottimamente fin dagli anni Sessanta nella regione del Nord Reno-Westfalia. Gli assassini di Livatino tesero un agguato alla sua auto sulla superstrada tra Agrigento e Caltanissetta. Riuscì a fuggire, ma fu inseguito e infine ucciso.

Subito dopo l'omicidio di Livatino gli inquirenti italiani avviarono un’indagine presso la polizia tedesca. Il killer che mise la pistola in bocca a Livatino per dargli il "colpo di grazia" lavorava assieme ad altri due mafiosi presso il ristorante "Portofino" a Dormagen. Altri due sicari furono arrestati a Leverkusen nella Pizzeria "Ai Trulli" e già nell'ottobre del 1990 i giornali italiani riferivano di come la mafia, da roccaforti come Palma di Montechiaro vicino ad Agrigento, avesse raggiunto la valle del Reno.


L'impero della mafia in Germania
Persino il leggendario collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta descrisse agli inquirenti tedeschi, con dovizia di particolari, come la mafia aveva organizzato il suo impero in Germania. Dal 1991 ci fu un rapporto della Polizia Federale Criminale che, con efficienza  teutonica, svelava gli intrecci dei  clan di Cosa Nostra, Camorra e 'Ndrangheta, della cui esistenza però l'opinione pubblica tedesca apprese solo quando vennero uccisi Falcone e Borsellino e giornalisti italiani raccontarono della pista tedesca. L'ultima minaccia di morte a Falcone fu stampata a Wuppertal;  Borsellino - nove giorni prima della sua morte -  interrogò un mafioso in carcere a Mannheim, convincendolo a collaborare con la giustizia ed ebbe l'ultima conversazione telefonica prima della sua morte con la Polizia Federale Criminale di Wiesbaden.


Collegamenti mafiosi tra Germania e Italia
 La Germania è una provincia di Cosa Nostra, scrissero al tempo i giornalisti citando i rapporti tedeschi della Polizia Criminale Federale (BKA), secondo cui i clan mafiosi da decenni erano ben insediati non solamente nelle regioni della Ruhr e del Baden-Württemberg ma, dopo la caduta del muro di Berlino, avevano fatto investimenti anche nella Germania orientale. Intere città della Germania dell'est appartenevano alla mafia, negozi e centri commerciali, immobili e ristoranti erano nelle mani dei boss. Lipsia era quasi interamente di proprietà della 'Ndrangheta calabrese. Per il riciclaggio di denaro la Germania era un paradiso.
Dopo l'assassinio di Giovanni Falcone, l'allora capo della sezione Criminalità Organizzata del  BKA, Volker Gehm, fece una dichiarazione rivoluzionaria per la Germania, denunciando che la mafia sfruttava la Repubblica Federale non più solo come meta di fuga e nascondiglio, ma che quest'ultima era diventata vero campo d'azione per la mafia. Pochi mesi dopo il settimanale "Der Spiegel" descrive il potere dei clan in Germania: "La mafia, a quanto pare, ha vinto." Secondo il rapporto della BKA si doveva prendere atto che in Germania i mafiosi, negli anni successivi all’assassinio di Falcone, avevano rafforzato la propria sfera di influenza.

Centri di potere mafioso in Germania
 Grossolana ignoranza in Germania
E oggi? Gli omicidi di mafia a Duisburg, cinque anni fa, appena si ricordano. La risposta dell’Ufficio di Stato di Procedura Penale di Düsseldorf a un’importante interrogazione sul tema "Il Nord Reno Westfalia minacciato dalla mafia” è stata: "Per l'LKA non ci sono prove oggettive che inducano a pensare che gruppi della criminalità organizzata italiana siano radicati in modo significativo nella società del Nord Reno-Westfalia, come viene prospettato dalla Commissione Parlamentare Antimafia e dalle autorità di polizia italiane". Un'affermazione audace.
Non solo perché testimonia un’enorme ignoranza sulla mafia (la cui principale peculiarità è di essere sempre parte della società in cui si trova, mai un corpo estraneo), ma anche perché contraddice i risultati stessi dell'Ufficio Federale di Polizia Criminale, nei cui rapporti a tutt’oggi compaiono moltissimi nomi di complici tedeschi, senza l'appoggio dei quali la mafia non potrebbe assolutamente esistere in Germania: avvocati, commercialisti, funzionari di banca, amministratori, ex-membri della Stasi.
La mafia in Germania? E' un’icona sociale. Si trova nei giochi per computer, nelle serie televisive, in versione di musica per feste. La mafia si è nuovamente agghindata della sua veste folcloristica vendendo la sua propaganda con successo. Per esempio, che lei non uccide donne e bambini, che è timorata di Dio ed è addirittura vittima dello Stato italiano. E che in Germania vuole solo sfornare una buona pizza alla romana.




21 maggio, 2012

Gramsci: riferimento per la sinistra italiana ed europea

Articolo originale di Jens Renner
Pubblicato in Svizzera
Traduzione di Claudia Marruccelli e Cristina Bianchi per Italia dall'Estero   
Pubblicata su Il Fatto Quotidiano
Il politico italiano, giornalista e intellettuale Antonio Gramsci, a 75 anni dalla sua scomparsa, resta un punto di riferimento importante per la sinistra. Non solo in Italia.


Il 27 aprile 1937 morì Antonio Gramsci, cofondatore del Partito Comunista Italiano, innovatore del marxismo e finora il più discusso al mondo tra gli intellettuali italiani. In occasione del 75° Anniversario, in Italia un po’ dappertutto vengono commemorate le tragiche circostanze della sua morte. Gramsci morì pochi giorni dopo la fine della sua prigionia, all’età di 46 anni, profondamente minato nel fisico da oltre dieci anni di prigionia nelle mani dei fascisti. La sua eredità consiste anche nelle sue innumerevoli memorie, pubblicate in varie edizioni e oggetto di numerose conferenze.
In Italia l’anno 2012 è iniziato anche con una bizzarra disputa storica su Gramsci. Nel suo nuovo libro “Le due carceri di Gramsci. La Prigione fascista e Il Labirinto comunista “, il linguista Franco Lo Piparo sostiene la tesi che Gramsci non fu solo un prigioniero del fascismo, ma anche vittima del “labirinto comunista” di Stalin e Palmiro Togliatti, che guidò poi il Partito Comunista Italiano fino alla sua morte nel 1964. Entrambi avrebbero abbandonato Gramsci ai fascisti, sebbene potessero salvarlo, perché personaggio scomodo e dalle idee stravaganti.

Filippo Turati

Osteggiato ancora oggi
Una siffatta teoria era stata già sostenuta e poi confutata negli anni Ottanta. In questa vicenda non ci sono nuove prove, ma solo un’ipotesi ancora più azzardata: Togliatti avrebbe fatto sparire nel 1945 un compromettente documento di Gramsci, scrive Lo Piparo. Lo storico Dario Biocca aggiunge un’altra strana nuova teoria: Gramsci avrebbe ceduto ai fascisti alla fine del suo periodo di detenzione.
In realtà Gramsci ha sempre preteso, appellandosi ad una norma del codice penale fascista, il suo rilascio in libertà vigilata. Non avendo voluto sottoscrivere, come richiesto, la dichiarazione di pentimento, la domanda fu respinta, probabilmente dai massimi vertici e da Benito Mussolini stesso, che aveva impedito, già prima dell’offerta di scambio di prigionieri da parte dell’Unione Sovietica,  il rilascio di Gramsci.
Una terza recente pubblicazione contro Gramsci sembra ispirata direttamente dalla Guerra Fredda: nel libro di Alessandro Orsini “Gramsci e Turati. Le Due sinistre“, alcune citazioni di Gramsci vengono raccontate in modo tale da essere considerate proprie dell’acerrimo nemico di Stalin. Orsini pone in contrapposizione Gramsci il cattivo contro il buono, il socialista Filippo Turati, un uomo di riforma e dalla parola misurata.
Questo semplice dipinto in bianco e nero ottenne particolare risonanza grazie ad una più che benevola recensione dello scrittore Roberto Saviano, che dopo la pubblicazione del suo libro rivelazione “Gomorra” sulla camorra, può essere considerato una sorta di eroe popolare. La sua parola ha quindi un peso, soprattutto perché la sua recensione è apparsa sul quotidiano di centrosinistra “La Repubblica” che aveva pubblicato anche le tesi di Lo Piparo e Biocca, non dando però spazio ad una replica sulla questione.
Si conoscono solo pochissime posizioni contrastanti, per esempio sul quotidiano  ”Il Manifesto” – che sta per chiudere – e su siti Internet come marx21.it o gramscioggi.org. Qui Gramsci  viene difeso da diffamazioni e strumentalizzazioni. Nei casi singoli però si tratta di altre deformazioni del pensiero non scevre da problematiche, come la visione ortodossa comunista secondo la quale ci sarebbe un legame diretto che unisce Gramsci a Togliatti passando per Enrico Berlinguer, cofondatore  dell’ “Eurocomunismo“. Quindi Gramsci sarebbe stato il precursore del “compromesso storico” con la Democrazia Cristiana, che sfociò in un disastro e che è stato considerato fino ad oggi l’inizio  della fine del “cammino italiano verso il socialismo“.
Come si inserisce Antonio Gramsci in tutto ciò? Del suo ampio lavoro giornalistico c’è pochissimo a disposizione, fatta eccezione per i 29 diari della prigionia dal 1929 al 1936,  integralmente  disponibili in lingua tedesca. Quello che emerge come tema ricorrente in tutti i suoi diari, sono riflessioni sulla “egemonia” politica e culturale.
Alla questione del perché la rivoluzione in Russia non abbia avuto successo in Occidente, Gramsci risponde su diversi piani. Innazitutto su quello storico: all’inizio del primo quaderno egli esamina la storia dell’Italia nel 19° secolo. A causa della debolezza della borghesia la neonata nazione, unita nel 1861, fu nella migliore delle ipotesi una democrazia a metà. L’egemonia rimase nelle mani dei moderati per cui l’unità nazionale era più importante delle libertà democratiche. L’iniziativa politica del popolo non era contemplata
.
Linguaggio obsoleto
Ma Gramsci dallo studio della storia italiana sviluppa anche elementi di una nuova teoria marxista dello Stato, che supera lo “Stato e Rivoluzione” (1917) di Vladimir Ilyich Lenin. Per Gramsci lo Stato è più che un apparato coercitivo per assicurarsi il dominio di classe. Egli distingue tra leadership e dominio, coercizione e consenso, società politica e società civile. Queste distinzioni hanno anche un’estrema importanza nella trasformazione della società: “Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere“.
Come figlio del suo tempo Gramsci impiega frequentemente concetti tipici del mondo militare. La rapida “guerra di movimento” dei bolscevichi, si contrappone alla lunga “guerra di trincea” in Occidente; la lotta per l’influenza nella società civile viene paragonata  alla conquista delle “trincee” e delle “casematte”, le fortezze sotterranee.
Più che il linguaggio di Gramsci oggi infastidisce l’evidente prospettiva che emerge in modo ricorrente circa la conquista del potere politico. Dopo diciotto anni di berlusconismo, la sinistra è più lontana che mai e Gramsci è tutt’altro che un ricordo lontano, anche se le sue intuizioni non sono facilmente applicabili in politica.
Prima pagine del Quaderno dalle Prigioni di Antonio Gramsci

Si deve fare un bel respiro
I suoi strumenti analitici sono applicabili, ad esempio, nell’analisi critica della storia italiana, la cui fase più buia, il fascismo e l’alleanza con la Germania nazista, trova un senso nell’analisi di Gramsci. Il culto dell’unità nazionale, la mancanza di democrazia nel neonato stato nazionale, resero il fascismo certo non inevitabile, ma possibile. Questo è un punto nodale contro la dominante rappresentazione eroicizzante del proprio passato, che ha improntato il 2011, anno del giubileo (“150 anni d’Italia”).
Grazie a Gramsci si può capire meglio anche la storia recente, tuttora in corso: il berlusconismo. A tal proposito si stanno verificando interessanti dibattiti all’interno della sinistra italiana.  Che si tratti di una “rivoluzione passiva” dall’alto, come ai tempi del fascismo?
Alcuni autori esprimono dubbi che il blocco politico guidato da Silvio Berlusconi abbia davvero esercitato una egemonia in senso gramsciano, poiché un consenso egemonico sarebbe più della mera approvazione passiva delle misure adottate dal governo. Anche dopo la sostituzione di Berlusconi con Mario Monti si continuerà a discutere se negli ultimi venti anni abbia preso il potere un “blocco storico”, se quindi una classe dominatrice abbia o meno inglobato nella sua egemonia gli altri livelli sociali. Oppure se il dominio di Berlusconi non sia stato altro che una traballante alleanza di partiti.
Nemmeno in quest’ultimo caso si intravede una svolta della sinistra. I neogramsciani insinuano che la sinistra abbia perduto la sua “egemonia culturale” assai prima della storica sconfitta del 2008. Un esempio spesso citato a sostegno di questa tesi sono i lavoratori della  FIOM, sindacato di sinistra dei metalmeccanici, che lottano per la tutela dei propri interessi, ma che alle elezioni votano Lega Nord.
Per la sinistra italiana, come nell’attuale scontro storico, diventa importante difendere qualsiasi “casamatta”, ma se segue Gramsci allora ha bisogno di fare un bel respiro. “Bisogna creare uomini sobri e pazienti, che non disperino dinanzi ai peggiori orrori e non si esaltino ad ogni sciocchezza“, scriveva Gramsci nel 1935 già segnato da una tremenda malattia. La nota si conclude con il motto spesso citato: “Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà“.

Mappa dell'individualismo nel mondo: dal verde i più collettivisti al rosso i più individualisti.
Egemonia
di Stefan Howald    
Chi controlla mente e corpo?
Il concetto più influente di Antonio Gramsci, quello di “egemonia”, dal punto di vista dell’effetto ha una sua storia alle spalle. Negli anni Settanta e Ottanta è servito contro i concetti ortodossi della sinistra radicale a descrivere le difficoltà quotidiane dei lavoratori. Per conseguire il potere si deve anche combattere per le menti; non si deve solo quindi cercare di impadronirsi dell’economia e dello Stato, ma anche di avere un ruolo di primo piano nella società civile, nelle diverse categorie, quali scuola, chiesa, sport o media. Era questo che si intendeva in senso positivo con marcia nelle istituzioni. Queste istanze caratterizzano ciò che Gramsci definisce ‘filosofia di vita quotidiana “: essa contiene elementi  disparati, anche contraddittori, che vengono collegati in modo da poter agire nella vita quotidiana.
A metà degli anni Ottanta gli esponenti della destra riscoprirono il concetto facendolo proprio proficuamente. Il neoliberismo rivendicava la leadership non soltanto nell’economia, ma anche nel dibattito delle idee. Ora all’uomo è stato inculcato l’individualismo sfrenato, allontanandolo dalla solidarietà. Alla società per azioni “Io”, al lavoro flessibile e con sede ovunque che si sta sempre più diffondendo nella vita quotidiana, corrisponde un modello di comportamento civico sociale: il desiderio sfrenato di una individualità carismatica o di uno spettacolare turismo d’avventura, per esempio, o la necessità ossessiva di essere reperibili al cellulare o su internet.
Per quanto riguarda il dominio del neoliberalismo, la crisi finanziaria non ha cambiato molto. E’ rimasto per un anno sulla difensiva, poi si è ripreso. Strutture egemoniche e filosofie di vita quotidiana non si possono cambiare da un giorno all’altro. Il servizio sulla borsa nel notiziario principale della televisione svizzera non dice mai nulla di nuovo, trasmette solo l’incomprensibilità del mercato azionario, ma forse alla fine è proprio grazie a questo che si potrà ancora vincere. Dello stesso tenore sono gli innumerevoli quiz televisivi e le soap opera, nei quali ognuno può creare a proprio piacimento l’aumento del consumo e una società degli svaghi.
Nella razionalissima e precisa metropoli finanziaria di Zurigo, culla della riforma protestante di Huldrych Zwingli, questa filosofia di pensiero è già incisa nel DNA: in proporzione in nessun’altra maratona al mondo i partecipanti ottengono tanti tempi record. 

19 maggio, 2012

Fuggire o morire?

Italien: eine Flucht in die Ferne oder in den Tod

Giovani e crisi, siamo messi così male?

 Italia: verso la fuga o la morte. Il paese patisce enormemente le conseguenze della crisi del debito pubblico e le misure di austerità imposte del governo. Giovani laureati emigrano in massa – e molti disperati si tolgono la vita.

Articolo originale di Kordula Dörfler
Pubblicato in Austria il 4 maggio 2012
Traduzione di Claudia Marruccelli per Italia Dall'Estero
Pubblicata su Il Fatto Quotidiano  

Il paese dei suoi sogni è bagnato dal mare. Ha una forma allungata, migliaia e migliaia di chilometri di coste e alte montagne, il clima è piacevole, c’è buon cibo e vino buono e tesori culturali di ogni epoca della storia occidentale. Daniela M. 32 anni, trattiene a fatica le lacrime quando parla della terra dei suoi sogni. Non avrebbe mai immaginato di doverla abbandonare, forse per sempre. Ma questa è la sua ferma decisione, lasciare l’Italia, perché nel paese dei suoi sogni non esiste una cosa: un futuro per i giovani.
Non vedo altre possibilità“, dice la donna snella con gli occhiali scuri, e la sua voce riprende sicurezza. E’ tutto pronto, in estate prenderà l’aereo per andare in Australia. Dopotutto, anche lì ci sono un clima mite e il mare ad attenderla – e un lavoro.
Le ha tentate tutte dopo aver finito gli studi.  Non si contano le domande di impiego che ha spedito. “Dalla maggior parte non ho nemmeno ricevuto una risposta.” Nessuno ha voluto assumere la giovane architetto, almeno per non più di sei mesi. Infine ha accettato un lavoro qualsiasi, in un call center ha dato consigli a clienti impazienti, ha fatto la cameriera. Ha guadagnato veramente poco, troppo poco per vivere, troppo per morire. E così vive con i suoi genitori in un piccolo appartamento nei pressi di Roma, perché, come si può vivere con poche centinaia di euro in una città costosa come Roma?


La maggior parte non ha più alcuna speranza
A M. non piace parlare della sua storia, ma stare tra persone che la pensano come lei l’aiuta. Decine di giovani sono arrivati  per un convegno chiamato “Emigrazione 2.0” che si è tenuto in una ex discoteca di Roma. Hanno un buon curriculum formativo ma sono senza lavoro fisso. La maggior parte tra l’altro non ha alcuna speranza di ottenerlo. La crisi finanziaria ha fatto salire il tasso di disoccupazione al 9,4 per cento. La cosa più grave è che colpisce i giovani. Un 35enne su tre e un 25enne su due non ha un lavoro. Sempre più giovani hanno a che fare con un lavoro temporaneo e mal pagato. Ciò consente ai datori di lavoro di risparmiare molto, mentre i lavoratori precari non hanno quasi diritti.
E non finisce qui, perché il governo vuole modificare l’art. 18. E mentre combatte con i sindacati, la disperazione dilaga, da questo punto di vista il cambiamento di governo avvenuto nel 2011 ha cambiato poco. Dopo un breve periodo di sollievo, la crisi colpisce molti con tutta la sua forza. Sempre più giovani vedono un’unica via d’uscita: lasciare l’Italia, in particolare proprio quelli di cui il paese avrebbe così tanto bisogno: personale altamente qualificato, docenti universitari, medici, architetti, ingegneri. Circa 600.000 negli ultimi dieci anni.
Particolarmente forte è l’esodo proveniente dall’arretrato Sud. Ma anche dal nord si parte per andare lontano. “Questi giovani non si accontentano di giocare in serie B, vogliono restare in serie A“, spiega il demografo Alessandro Rosina.
Del resto l’emigrazione non è un fenomeno nuovo in Italia, a partire dal 19° secolo ci sono sempre state ondate di emigranti, soprattutto verso l’America e l’Australia. Ma a differenza dell’ultima ondata, avvenuta negli anni ‘60 e ‘70, non sono più prevalentemente i lavoratori non qualificati a cercare la loro fortuna all’estero, anche al di là delle Alpi. “Questa è una forma di emigrazione finora sconosciuta in Italia“, spiega Gabriele di Mascio della UIM, che si occupa e segue gli italiani all’estero – e coloro che vogliono emigrare. E’ uno dei padri fondatori del convegno “Emigrazione 2.0” e si sorprende del grande afflusso [di partecipanti]. Dovrebbero seguirne altri, il prossimo a Londra, una delle mete preferite per i giovani italiani, e forse anche a Berlino.

Secondo le statistiche, un suicidio al giorno
Ma non tutti hanno il coraggio di emigrare. Lucia (28), un ingegnere disoccupato, non vedeva via d’uscita dalla miseria. Si è gettata da un balcone a Cosenza. “Non riusciva più a vivere in questa Italia, non ha visto altra soluzione” ha scritto la madre in una lettera aperta al giornale locale.
In questi giorni storie quotidiane come queste creano sgomento negli italiani, ogni giorno i media raccontano di persone che si tolgono la vita – a causa della crisi. Alcuni ricorrono a mezzi estremi per protesta: un operaio a Bologna si è dato fuoco morendo giorni dopo, a fine marzo anche un operaio edile marocchino si è dato fuoco davanti al municipio di Verona perché senza stipendio da quattro mesi. Una persona disabile, che aveva chiesto invano il rimborso delle spese per le terapie mediche, poco prima di una visita del Primo Ministro Mario Monti a Napoli, si è dato fuoco.
Ci sono anche pensionati a cui è stata ridotta la pensione e per questo la fanno finita, come recentemente è successo ad una signora siciliana. E ci sono anche capaci imprenditori ridotti sul lastrico, piccoli e medi imprenditori, la spina dorsale dell’economia: sono colpiti dalla mancanza di ordinazioni, aggravati da mancate riscossioni del credito e ritardati pagamenti dei fornitori e clienti.
Dal 2008 al 2011 sono fallite più di 40.000 aziende e secondo una statistica solo nel 2011 la crisi ha portato al suicidio una persona al giorno. L’associazione artigiana parla anche di oltre 1000 suicidi, un aumento del 24 per cento dal 2008, dato che nel 2012 forse verrà superato. E chi ha un lavoro, teme per il futuro. Gli stipendi a reddito fisso sono in netto calo, in compenso aumentano i prelievi fiscali e le tasse imposti dalla politica di rigore del governo. I consumi diminuiscono, i ristoranti non sono certi di poter restare ancora aperti, nei centri storici sempre più negozi chiudono, perché non possono più pagare l’affitto. Il 2012 potrebbe essere l’anno economicamente più difficile per l’Italia dal 1945.
Non posso più aspettare che le riforme di Monti diano i loro frutti“, dice Michele F. (30), tecnico informatico, ma che oggi in Italia ha difficoltà [a trovare lavoro]. Andrà a Londra. Suo fratello vive già lì, è un medico, lo ha aiutato a trovare un posto di programmatore pagato meglio. “Londra mi aspetta“, dice con tono deciso, cercando di sorridere.


16 maggio, 2012

Primi segnali nella diatriba fiscale con l'Italia

Erste Zuckungen im Steuerstreit in Italien


Pubblicato in Svizzera il 01.05.2012
Traduzione di Claudia Marruccelli per Italia Dall'estero

Frontiera Italo-Svizzera
Dalla scorsa estate Bellinzona non versa più all’Italia le ritenute d’acconto, così facendo il governo regionale del Canton Ticino fa pressioni su Berna e Roma. Pare però che ora qualcosa si stia muovendo nei dialoghi interrotti fino a pochi giorni fa. Il  governo Monti sembra disposto a negoziare a determinate condizioni.

Il Ticino ha sospeso gli accordi unilateralmente, ha dichiarato Monti all’ANSA lunedì sera.
Nell’ambito dei dibattiti per un accordo, sul tipo di quello concluso dalla Svizzera con Germania e Gran Bretagna, la Svizzera vuole riprendere le trattative con Roma per rivedere il sistema della doppia imposizione.
Va ricordato, tuttavia, ha detto Monti,  che il Ticino ha sospeso unilateralmente l’attuazione dell’accordo sui frontalieri italo-elvetici. Il Ticino in questo modo vìola due accordi internazionali - quello sui frontalieri e quello sulla doppia imposizione.
Se la Svizzera vuole riprendere i negoziati, è condizione imprescindibile  che vengano rispettati gli accordi già in vigore.
Dogana per i frontalieri italiani

Fondi congelati
L'estate scorsa il governo ticinese aveva deciso di congelare i fondi provenienti dalla ritenuta d’acconto prelevati ai frontalieri e ha sospeso il versamento all’ Italia. Il denaro resterà bloccato fino alla rinegoziazione dell'accordo sulla doppia tassazione tra  Berna e Roma .
In caso di fallimento delle trattative, i ticinesi pretendono che il governo federale versi la differenza tra i tassi d’interesse di Italia e Austria.
Nel mese di marzo il Consiglio nazionale ha tacitamente approvato una iniziativa cantonale equivalente con cui chiede che l'Italia in futuro riceva meno soldi dalla ritenuta alla fonte applicata ai frontalieri italiani. Il tasso di interesse in favore dell’ Italia dovrebbe essere ridotto dal 38,8 al 12,5 per cento.
Ora se ne dovrà occupare di nuovo la Camera Alta, che lo scorso autunno aveva respinto l'iniziativa allineandosi con le decisioni del Consiglio federale.

Moduli per la dichiarazione dell'Imposta alla Fonte

La domanda di rinegoziazione
La reazione dal Ticino alla richiesta di Monti non si è fatta attendere: la Svizzera deve essere cancellata dalla "lista nera" dei paradisi fiscali, ha detto che il Consigliere di Stato ticinese Marco Borradori alla radio locale "Radio3i". Inoltre l'aliquota per i frontalieri deve essere rinegoziata.
A Berna la Segreteria di Stato per gli Affari Internazionali  ha confermato soltanto che ci sono stati contatti tra la Svizzera e le autorità italiane.

06 maggio, 2012

Un “demagogo” crea scompiglio in politica


Ein „Demagoge“ wirbelt Politik durcheinander

Pubblicato in Germania il 29.04.2012
Traduzione di Claudia Marruccelli per Italia Dall'Estero 
Pubblicata su Reset Radio


Mario Monti costringe a drastici risparmi gli italiani, già duramente gravati da imposte e balzelli.

Mentre l'ex commissario UE é insediato al governo senza essere stato eletto, bensí inserito dal presidente Giorgio Napolitano per salvare il paese, il Parlamento è ancora formato dai vecchi partiti come all’epoca del predecessore di Monti, Silvio Berlusconi. Il panorama politico si trova in una grave situazione di stallo, mentre uno scandalo per frode e clientelismo sta facendo tremare la Lega Nord, partito di destra.

Ad un anno dalle elezioni politiche, è ancora una volta un noto comico a creare scompiglio nella confusa situazione politica:  Beppe Grillo, 63 anni, nato a Savignone in provincia di Genova, cavalca l’onda anti-politica lanciando slogan populistici contro "quelli di Roma". Il governo dovrebbe rinunciare all’euro e smettere di pagare quella montagna di debiti, annuncia con aria di sfida il leader di un “certo movimento politico". Molti italiani pensano, infatti, che le drastiche misure di austerità e il disagio sociale siano causati dalla casta dei politici. Libro accesso alla "democrazia su Internet" ed ecologia sono altri punti salienti delle proposte del movimento, che assomiglia più a quello dei Pirati [movimento di protesta antipolitico presente in Austria e Germania, ndt].



In due turni - il primo dei quali il 6/7 Maggio - più di nove milioni di italiani saranno chiamati ad eleggere i nuovi consigli comunali. Questo significa che un elettore su cinque andrà a votare in 1000 comuni, tra cui Genova, Parma, Verona e Palermo.  Ma i tempi sono cambiati. Per esempio, la questione non è più se il controverso magnate dei media e miliardario Silvio Berlusconi perderà  o meno una delle due sue roccaforti. Si è dimesso da capo del governo, anche se ha ripreso a partecipare attivamente in politica.

Il fatto che i politici a Roma facciano parlare molto di sé in queste settimane, prendendo in considerazione nuovi nomi o nuove formazioni di partito, e si muovano con particolare nervosismo, sembrerebbe aver poco a che fare con le elezioni amministrative indette per le elezioni dei sindaci. La campagna per le primarie parlamentari che avranno luogo nel 2013 è già iniziata; qualcuno pensa anche in maniera palese a nuove elezioni già nel prossimo autunno, dato che il piano di austerità di Monti  richiede sacrifici senza una dinamica di crescita in tempi di recessione.


Emerso alla ribalta mediatica il "Re dell’anti-politica" (come "La Stampa" definisce Grillo), già amato e odiato in precedenza perchè avversario di Berlusconi, si rivolge con enfasi agli italiani stanchi della politica. "Non esistono veri leader politici, ma idioti e dilettanti", grida Beppe Grillo ai simpatizzanti e aderenti del suo "Movimento 5 stelle”, riferendosi ai leader dei partiti al governo.

Anche simili espressioni dell’abile comico e blogger sono particolarmente apprezzate dai fan di Grillo. "Adesso non rappresentiamo certamente il terzo o quarto partito, ma siamo in Italia il primo movimento popolare." Lo ripete più e più volte, inveisce contro il Parlamento fatto di politici "immorali e mafiosi", denuncia la dipendenza del paese dalla Banca Centrale Europea e dalle agenzie di rating.  Grillo, già presente in molte amministrazioni locali, si spinge oltre con attacchi populistici,  tanto che anche Napolitano è dovuto intervenire contro certi "demagoghi". Come molti, egli è preoccupato che un "anti-partito" si faccia strada verso il governo a Roma.

Finora questo non reca danno alla popolarità di Grillo, mentre gli elettori sembrano fuggire in massa dalla Lega Nord, partito ex alleato di Berlusconi ora colpito dagli scandali. Il movimento di Grillo, secondo un recente sondaggio, raccoglie quasi l’otto per cento dei consensi; la Lega invece si è ridotta ad un sette per cento. Se oggi si andasse al voto, il Partito Democratico potrebbe irrobustirsi di fronte al PdL di Berlusconi che sta riprendendo slancio.

Nel centro politico si sta formando un nuovo partito; anche nelle file di Berlusconi si è alla ricerca di un rinnovamento; coalizioni e alleanze tra partiti sono al centro delle discussioni, perché nessuno sa veramente cosa accadrà all'Italia e ai suoi tecnocrati. Monti resisterà fino alle elezioni politiche nella primavera del 2013? E il "salvatore d'Italia" vuole forse essere rieletto Primo Ministro?