Der Schwindel mit italienischer Nahrung
La truffa dei cibi Made in Italy
di Paul Kreiner
Pubblicato in Germania il 02.04.2012
Roma - Il governo italiano ha venduto la sua quota di partecipazione ad un colosso lattiero-caseario rumeno una notizia che non sembra proprio esaltante, dietro alla quale, si nasconde un affare da un miliardo di dollari e una truffa al consumatore a livello internazionale, che quotidianamente miete vittime anche tra i clienti dei supermercati tedeschi. Infatti Lactitalia - così si chiama la società che si trova a Timisoara - produce latticini utilizzando nomi di origine italiana come "Dolce Vita", "Toscanella" o "pecorino". Di fatto questi prodotti non hanno assolutamente niente a che fare con l’Italia: il latte viene dalla Romania e dall’Ungheria. Il caseificio, denuncia con veemenza la Coldiretti italiana, sfrutta illegalmente i colori della bandiera italiana. Lo Stato italiano, a cui apparteneva tramite la Banca Export Simest il dodici per cento di azioni di Lactitalia, è complice in questa falsità anche perché lavorare in Romania ormai può essere più conveniente che in Italia, si tratta quindi di concorrenza sleale a danno dei produttori nazionali.
I contadini italiani hanno potuto almeno per una volta intervenire contro Lactitalia, dato che sono impotenti contro il resto della molto più redditizia truffa internazionale delle etichette. I nomi italiani sono più attraenti perché sono di moda, per lo stile di vita, per le vacanze e forse la sana "dieta mediterranea", i produttori di generi alimentari vendono i loro prodotti in tutto il mondo sempre più sotto nomi italiani.
Per farli sembrare più convincenti, stampano molte delle loro confezioni con parole italiane e nomi più o meno fantasiosi ("Condimento Aceto Balsamico"), mantenendo il tricolore della bandiera nazionale, ed ecco che nessuno si accorge che, il formaggio affettato Monteverdi arriva dai dintorni di Monaco di Baviera ed il cliente del discount acquista la mozzarella Lovilio che non arriva da uno sperduto paesino del sud, ma dalla Foresta Bavarese accanto.
Le associazioni italiane dei coltivatori sono in subbuglio
Le associazioni degli agricoltori italiani sono in subbuglio non solo contro i falsari internazionali, ma anche contro gli "Agro-pirati" nelle proprie industrie agroalimentari e contro una legge europea che fa passare per legale qualsiasi tipo di camuffamento. Si prenda per esempio, la vicenda della passata di pomodoro. Si tratta di una delle insostituibili materie prime della cucina italiana - però l’ingrediente base oggi matura in gran parte sotto il sole cinese. A seguito del'ultimo allarme che ha attraversato il paese, l’ associazione industriale dei produttori si è affrettata ad assicurare, che i prodotti cinesi non sono assolutamente commercializzati in Italia, ma vengono esportati in altri paesi.
"In Asia e in Africa", ha aggiunto il portavoce dell'organizzazione - ma ha anche detto che la Germania, è considerata al sicuro, paese in cui in fondo, c’è il più alto numero di acquirenti di prodotti italiani. 153 358 tonnellate di conserva di pomodori importate dall’ Italia nel 2010, di cui 121 000 tonnellate provenienti dalla Cina, tre quarti dei quali sono state ulteriormente destinate fin dall'inizio all'esportazione. E’ sufficiente in questi casi - secondo la legislazione dell'Unione Europea - solo "un ultimo passo sostanziale nella trasformazione", e il prodotto può essere messo in vendita come italiano: riempire un container di lattine di prodotti alimentari basta per essere a posto con la legge.
Quanto all’olio d’oliva la situazione è simile. Quattro bottiglie su cinque non contengono l’ "italiano" extra vergine, l’etichetta e il nome di fantasia lo promettono ma di fatto si tratta di un miscuglio di oli provenienti da tutto il mondo, in particolare dalla Spagna e Tunisia. Lo ha scoperto la associazione Coldiretti, che, anche se obbligatorio dal 2009, è possibile rintracciare le indicazioni geografiche di provenienza sulle bottiglie semmai "solo con il microscopio” .
L’Italia, il più grande esportatore mondiale di olio di oliva, non produce sul suo territorio nemmeno la quantità che consuma. La produzione è stata nel 2011 di 483 000 tonnellate; nello stesso anno il paese ha esportato 364 000 tonnellate. In Tunisia, dicono gli esperti, si può produrre un chilo di olio per 10 centesimi, in Italia, il costo si aggira tra i quattro e i cinque euro. Ecco spiegato perchè la maggior parte dei produttori spagnoli hanno acquistato diversi marchi italiani di fama. Perché l'olio d'oliva, venduto sotto il nome spagnolo ai clienti finali, permette di offrire prezzi molto più bassi di quello "italiano".
La vittoria nel caso Lactitalia è solo un successo momentaneo
Nella sua relazione sull’ "Agro Mafia", l’Istituto di ricerca Eurispes parla di un paradosso: da un lato, l'Italia ha registrato in Europa, molti marchi di qualità a "denominazione di origine protetta" e ad "indicazione geografica protetta", più di ogni altro paese - tre volte come la Repubblica Federale - e dall'altro, la stessa Italia si dà molto da fare nell’occultare la vera provenienza dei prodotti di largo consumo.
Secondo l'Eurispes tre su quattro cosce di maiale, che poi vengono vendute come il prelibato "prosciutto crudo, made in Italy", provengono dall’estero, il 91 per cento delle quali dal Cile, a Modena roccaforte del prosciutto questa settimana, sono state confiscate 90 000 cosce di maiale per mancanza di certificazione e danni alla salute.
La pasta "italiana" è prodotta in gran parte con grano duro proveniente dall’America (dal Canada, Messico, USA), e persino nelle mozzarelle prodotte in Italia, i due terzi del latte (68 per cento) provengono da Francia, Germania o Austria, senza che i clienti lo sappiano. Ma perché preoccuparsi? L'industria alimentare italiana è in crescita con buoni profitti, mentre il resto del paese è caduto in recessione. Le uniche persone del settore che stanno soffrendo sono gli agricoltori che non riescono a resistere a questo tipo di concorrenza.
La vittoria nella vicenda Lactitalia è solo un successo momentaneo, il che significa che di fatto non ha nessun significato. Alla fine: la Lactitalia rumena, che colpisce al fianco la produzione italiana con la sua concorrenza sleale - resta comunque italiana.
Nessun commento:
Posta un commento