08 febbraio, 2013

Nostalgie ... austriache

Italien ist ein krankes Land


Pubblicato in Austria il 3 febbraio 2013
Traduzione di Claudia Marruccelli



Il governatore dell’Alto Adige Luis Durnwalder considera l’Austria la sua patria e dichiara che sempre lo sarà – eccone i motivi nell'intervista con Stefan Winkler.

LUIS DURNWALDER: L'Italia è un paese malato. Deve riconquistare la fiducia dell’Europa e del mondo. La gente deve dimostrare attraverso il voto, di essere consapevole che bisogna fare qualcosa, e che sono pronti a mandar giù la medicina, per guarire il proprio paese.

Di cosa è ammalata l’Italia?

DURNWALDER: L'Italia ha vissuto oltre le proprie possibilità. Non potevano spendere più di quello che veniva incassato. Ma gli italiani per loro natura sono spensierati e superficiali, per loro vige il motto: "Cosa vuoi che sia, passerà". Però che ciò che oggi funziona, domani può trasformarsi in un disastro.

E’ l’euro la causa dei guai in Italia?

DURNWALDER: No. L’Italia è stata trattata fin troppo male a livello internazionale. Di per sé non è uno stato malato. Ha un nord forte, dove tutti sanno che bisogna darsi da fare. Ma ha anche un sud malato da tempo di cancro, la mafia, e la gente ancora si fida più dei mafiosi che dello stato. Le sue metastasi sono ampiamente ramificate. E il risultato è che ancora oggi i soldi partono dal nord per finire al sud.

Una rielezione di Berlusconi potrebbe essere considerata un disastro?

DURNWALDER: Berlusconi ha rovinato la reputazione dell'Italia all'estero. Il mondo intero ha riso di lui. Un anno e mezzo fa, sono stato in Nepal. Quando al check in dell’aeroporto hanno visto il mio passaporto, hanno fatto un mezzo sorriso e hanno detto "Bunga Bunga". In Nepal! Se Berlusconi venisse rieletto vorrebbe dire ripiombare nei soliti problemi di tutti i giorni. Il paese deve ritrovare un nuovo governo.

Il premier Mario Monti non l’ha fatto?

DURNWALDER: Monti non è un politico. È un professore, ed è stato un danno per l’Alto Adige. Però ha ottenuto anche dei buoni risultati, e ha convinto il mondo finanziario internazionale di essere lui il guaritore. Inoltre ha avuto il coraggio di dire agli italiani che il paese deve fare sacrifici. Il suo fallimento è dovuto alla mancanza di programmi per la crescita economica. Certamente ha aumentato le tasse, ma molte delle sue misure erano unilaterali e disorganizzate, tanto che c’è stato bisogno di alcune correzioni.

Lei se la prende con Monti per il fatto che se ne è infischiato dell'autonomia dell’Alto Adige Monti. Ma Roma non ha tutto il diritto di chiedere il maggior sacrificio alla sua regione più ricca?

DURNWALDER: Noi non abbiamo rubato la nostra ricchezza! Ma a Monti non importa nulla. Pur avendo rinunciato a centinaia di milioni di euro e essendo disposti a cedere anche di più, ci ha negato i fondi che ci spettavano, dicendoci "Rivolgetevi alla corte costituzionale", cosa che abbiamo fatto, e sono convinto che lo stato dovrà restituirci centinaia di milioni. Ma dove troveremo i soldi? Non si può togliere la camicia a un uomo nudo.

L'autonomia è in pericolo?

DURNWALDER: A Berlusconi non gliene frega un fico secco dell’Alto Adige. Quando ci siamo incontrati, ha parlato solo di donne, buon cibo e di vino. "Faremo Luis! – Non preoccuparti! " ha detto. E in realtà qualcosa abbiamo ottenuto. Monti invece ha trattato la questione dell’autonomia solo marginalmente. Quando ci siamo visti presi per il collo e lo abbiamo fatto presente a Vienna, ha detto che la cosa non riguardava l’Austria. Ora: se diminuiscono le possibilità di prendere decisioni autonome nel nostro paese, il richiamo dell’autodeterminazione e il desiderio di tornare in Austria si fa più forte.



Cosa ne pensa di queste richieste?

DURNWALDER: Sembra tutto molto bello. Solo che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Supponiamo che gli altoatesini optino tramite un referendum per l'autodeterminazione, cosa che dubito, lei crede che avremmo una maggioranza all'ONU che ci permetta di spostare i confini dal Brennero a Salorno (basso Alto Adige, barriera simbolica tra la parte germanofona e italofona del Tirolo ndt)?

Significa ritornare indietro nella storia?

DURNWALDER: No. Noi abbiamo dato nuovo valore all’autonomia dell'Alto Adige. Da nessuna parte la qualità della vita è migliore di qui. E noi viviamo in un'Europa, che sta abbattendo i confini. Se un giorno, tuttavia, dovesse verificarsi una riorganizzazione delle regioni dell'UE, l’Alto Adige sicuramente non sceglierebbe la Lombardia.

Lei parla spesso dell’Austria, come della sua patria. Ma per l’Alto Adige lo stato austriaco conta ancora molto?

DURNWALDER: Sono nato in un maso di montagna. A casa eravamo undici figli e sette capi di bestiame. Senza l’aiuto dall'Austria io e mio fratello non avremmo potuto studiare. Eravamo dei poveracci che campavano di elemosina, ma quei giorni sono finiti. L’Alto Adige non ha più bisogno di soldi, ha bisogno di sostegno morale. Siamo stati insieme per quasi un millennio. I miei genitori hanno combattuto per l’Austria. Questa è patria! Dopo il 1918 l’Alto Adige è stato annesso all’Italia come bottino di guerra. Siamo venuti via dall'Austria, sebbene noi fossimo austriaci e ancora oggi ci consideriamo una minoranza austriaca. Pertanto, abbiamo diritto ad essere tutelati dall‘Austria.

Quando a Vienna ha criticato Monti, il governo federale sembrava quasi imbarazzato. Vi sentite delusi?

DURNWALDER: Il cancelliere Faymann non ha avuto tempo per noi, a causa dei suoi numerosi impegni. Egli era stato in precedenza a Roma ed è stato illuso dalle belle parole di Monti. Hanno voluto risolvere i problemi cin un mucchio di chiacchiere. Allora ci siamo detti: così non va! Se il Presidente austriaco e il ministro degli esteri non ci avessero accolto così apertamente e detto senza mezzi termini, che cosa pensano, sarebbe stato deludente. Alla fine, il cancelliere ha scritto almeno una lettera, in cui ha detto esattamente le cose come stavano.

La cosa è durata mesi.

DURNWALDER: Se avessimo taciuto, non avremmo ricevuto la lettera.

In autunno, L’Alto Adige eleggerà il nuovo consiglio regionale. Lei si dimetterà. Il suo partito, il Sütiroler Volkspartei, ha perso carisma e manifesta contrarietà nei confronti del suo successore. Ha sbagliato nella sua scelta?

DURNWALDER: Dicono che sono stato un albero con rami molto fitti, sotto cui non potrebbe crescere nulla. Questo non è vero. Ho lasciato passare i raggi del sole. Lo dimostra il fatto che non c’è un unico successore, ma diversi. In genere, per un partito di raccolta come il SVP è più facile sopravvivere in condizioni difficili per 50 anni difficili piuttosto che per sette anni in maniera agiata. In epoche precedenti il nostro nemico era l’Italia. Oggi siamo più fortunati, non siamo una minoranza che sta morendo. E il mastice quello che manca e quello che ci teneva assieme contro Roma, si dissolve.

La SVP riuscirà a conservare la maggioranza?

DURNWALDER: No, ma è anche nella natura delle cose. Per riuscire a mantenere la maggioranza, abbiamo bisogno all'interno del gruppo etnico di lingua tedesca almeno del 65 per cento. Ma non è più una cosa attuale.

E lei come si vede? Lei un patriarca, un vero principe regnante, si sente ancora attuale?

DURNWALDER: lo noto su me stesso: non sono più giovane. E non sono un candidato per il premio Nobel della democrazia. Parlo volentieri con le persone. Ma sono ancora capace di decidere. Qua comanda uno solo, si dice. Ho anche sempre detto: ragazzi, io non sono un Santo, ho tutti i vizi di questo mondo. Nonostante ciò gli alto atesini mi accettano così come sono. Altrimenti non avrebbero eletto uno come me. Nessuno prima è riuscito a raccogliere tanti voti. Ho mantenuto un contatto molto stretto con la popolazione. Da un quarto di secolo, s ricevo le persone ogni giorno. , già dalle sei del mattino. Chiunque può venire, dalle prostitute al parroco. Non sto dicendo che la gente deve venire, ma io ci sono. Non so quanto reggerà il mio successore. Spero che non mi prenda ad esempio. Ma è giunto il momento di un cambiamento, ed è giusto così.



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